Scopo di queste poche pagine è quello di aiutaregli adulti a parlare di sicurezza stradale con i giovanissimi. Questo compito, la diffusione di una cultura della sicurezza e della responsabilitànel traffico stradale, ricade sui genitori, sugli insegnanti1), sugli operatori delle varie polizie (cui compete anche l’attività di repressione degliabusi), sugli istruttori di scuola guida e – nelsenso più ampio – sui pubblici amministratori.

Questi ultimi potrebbero, ad esempio, ricordare che la legge impone di destinare parte dei proventi delle sanzioni pecuniarie derivanti da infrazioni al codice della strada ad iniziative di promozione della sicurezza viaria. È fin troppo facile abbandonarsi alla critica – o anche all’invettiva- osservando dei ragazzini che mettono in pericolo se stessi e gli altri zigzagando in motorino nel traffico urbano. Proviamo a chiederci che cosa gli adulti hanno dato loro per aiutarli a comprendere la responsabilità connessa alla guida di un veicolo a motore e a comportarsi in modo conveniente. Probabilmente i genitori si sono limitati a poche frasi convenzionali e vuote come: “mi raccomando stai attento”.

Inoltre è altrettanto probabile che i genitori medesimi siano dei pessimi esempi; che fin dalla più tenera età del figlio lo abbiano abituato alla propria condotta di guida concitata, aggressiva e scorretta. Domandiamoci quindi in qual conto l’adolescente debba tenere le teoriche raccomandazioni di siffatti genitori. La scuola non è mai stata apertamente chiamata ad occuparsi di sicurezza viaria; se si fa carico di questo delicatissimo compito lo fa con tempi rubati ad altre attività istituzionali, con personale sostanzialmente volontario, con mezzi di fortuna, con l’assistenza – altrettanto volontaria – di polizia stradale e municipale. E comunquesi tratta di poche ore, di qualche informazione – meglio che nulla! – non certo di formazione. In ogni caso, questi giovanissimi sono quotidianamente spettatori delle più incredibili nefandezze, di comportamenti inqualificabiliagiti nel traffico urbano dagli adulti che dovrebbero educarli.

Proviamo a ricordare che l’apprendimento di comportamenti sociali – e soprattutto di comportamenti aggressivo/trasgressivi – avviene prevalentemente per imitazione.

 

Diffidenza

L’adolescente è diffidente perché sta cercando ad imparare a giudicare il mondo con la propriatesta: Fino a ieri era un bambino/a e doveva credere e obbedire agli adulti; non era lui/lei il protagonistae il responsabile dei giudizi e delledecisioni, si limitava a subirli. Oggi vuole/devecapire e decidere in prima persona, quindi deve sperimentare; novello (ed ingenuo) Tommaso, deve mettere il dito dappertutto, deve ri-scoprire se il fuoco brucia e se l’acqua bagna. Anche se ha avuto educatori meravigliosi e straordinariamente preparati, è normale che prenda una certa distanza da essi e che si guardi attorno con circospezione.

Se invece è cresciuto tra adulti poco presenti o poco accorti, comunque poco sensibili alle sue complesse esigenze, diverrà autenticamente “paranoico” ed ostile. Nell’ormai mitico, lontanissimo ‘68 si diceva “non ti fidare mai dichi ha più di vent’anni”.

All’interno di questo processo assumegrande importanza il cosiddetto “gruppo dei pari”, cioè dei coetanei che vivono assieme la stessa fondamentale esperienza della riscoperta del mondo.

Il gruppo

Si definisce “gruppo dei pari” perché riunisce coloroche non sono “superiori” o, più esattamente, che non occupano un ruolo sociale di superioritàe/o di autorità. Per questo motivo gli adolescenti guardano più al gruppo che non al mondo degliadulti al fine di trovare un’adeguata misura di se stessi.

Il giudizio del mondo adulto risulta comunque convenzionale, stereotipato, formale; che ti dicano che sei bravo – o che non lo sei affatto cheti dicano che sei bella – o che invece dovresti dimagrire e vestirti in modo meno assurdo – tu non pensi che questa sia una verità; pensi che telo dicano perché te lo devono dire, perché gli adulti (genitori o insegnanti) dicono sempre quelle cose. Nel gruppo sì che ti giudicano davvero per quel che vali! Quella è la realtà in cui si vede veramente se piaci o se non piaci, se sei un leader o un gregario, se riesci a tirar fuori il guerriero o la principessa che porti dentro di te; la realtà

in cui devi combattere per affermarti, tirar fuori tutta la grinta, tutta la competitività e tutti

gli strumenti che hai. Se ti accetta il gruppo, alloravuol dire che vali qualcosa. Se no sei solo e gravemente emarginato, condannato magari asubire tutte le derisioni e i motteggi – autentiche persecuzioni – che il gruppo è capace di inventare per scaricare la propria aggressività collettiva sull’occasionale capro espiatorio.

Naturalmente la compagnia dei giovanissimi rappresenta un ottimo terreno di cultura per tutte le mode e le tendenze, ivi incluse le più strane e le più rischiose. È logico che individui assetati di mezzi e di occasioni per distinguersi emettersi in mostra (e alla prova) siano incredibilmente ricettivi rispetto ad ogni novità. In una civiltà consumista, che dà estremo valore al possesso di oggetti, avere il telefonino fuori moda può costituire fonte di reali gravi malesseri. E non ci scandalizziamo troppo noi, signori adulti, perché la suddetta società consumista l’abbiamo costruita noi e tanti di noi ci vivono dentro proprio come adolescenti; questi ultimi – quelli legittimi- sono soltanto un po’ più ingenui e più fragili.

Le mode e le tendenze adolescenziali contengonoassai spesso elementi di carattere trasgressivo.Il gruppo potrebbe condannare lamancanza di trasgressività come mancanza di coraggio, di determinazione e di carattere. Il messaggio del gruppo può diventare: “se non trasgredisci vuol dire che sei un bambino (o, naturalmente,una bambina)”. Questo verrebbe vissuto come il massimo della vergogna; la principaleangoscia dell’adolescente è sempre quelladi non essere all’altezza del proprio nuovo statuse, più in generale, degli altri.

La trasgressione

Risulterà chiaro a questo punto il bisogno adolescenzialedi “trasgredire”; trasgredire per sperimentarele proprie nuove capacità, per andarea trovare i propri limiti. Per conquistare l’approvazionedel gruppo, per mettersi in mostra,per stupire. Per affermare la propria differenza,il rifiuto delle norme e dei valori degli adulti cui,fino a ieri, si è dovuto obbedire.

Bisogna sovvertire i comuni canoni estetici -capelli rasta e jeans tagliuzzati -; utilizzare il turpiloquio come linguaggio comune – cioè in assenza di emozioni scatenanti che lo renderebbero comprensibile -; esibire apertamente manifestazioni- anche di per sé naturali – che di solito si riservano a momenti privati. Questo può comportare – e spesso effettivamente comporta – anche la trasgressione di regolamenti e di leggi, con conseguenze che vanno dalla comune infrazione al reato grave.

I giovanissimi sono – speriamo non tutti -forti consumatori di sigarette, alcolici, hashish e marijuana, ecstasy; sono impulsivi e quindi, non di rado, violenti; sono spessissimo spericolati. Nella guida dei veicoli a motore si ritrovano tutte le suesposte tematiche adolescenziali e tutte, senza eccezione, concorrono a generare condizioni di rischio. Infatti il giovane avrà paura di aver paura, dovrà esibire il proprio sprezzo del pericolo e delle regole agli occhi del gruppo o di qualcuno che particolarmente gli interessi, cercherà di spingere il suo mezzo a prestazioni estreme, oltre i confini dettati dalla ragione e dalle leggi della fisica.

Identità, autonomia e responsabilità

Lo scopo finale dell’adolescente è quello di crearsi una nuova, valida identità. Il sentimento di identità può scaturire solo dalle esperienze, dai successi e dagli insuccessi, dalla progressiva rassicurazione sulla propria capacità di fare e dal conseguente autocompiacimento.

Divenendo consapevole di sé e dei propri strumenti, il ragazzo riesce progressivamente ad affrancarsi dalla dipendenza che lo ha – conflittualmente – legato ai genitori.

L’autonomia, psicologica e materiale, lo renderàpiù tollerante verso gli adulti e verso le regole imposte dal contesto sociale, ma anche più libero dall’influenza del gruppo.

Solo a questo punto si può cominciare a parlare di responsabilità.

La responsabilità vuole la consapevolezzadella natura e della ragione delle norme e la conoscenzae l’accettazione dei propri limiti. Lacronaca ci testimonia che numerosissimi adulti non sono mai arrivati a tanto.

Come parlare di sicurezza

Per comunicare in modo efficace è indispensabile usare un linguaggio effettivamente comprensibile dagli interlocutori. Inutile profondere informazioni, raccomandazioni e dati in un “codice”incomprensibile o comunque incompreso dagli interlocutori.

Il linguaggio adolescenziale è generalmente semplice, povero di vocaboli e ancor più di sintassi. Sapete bene che questi di oggi sono i giovanidell’età dell’informatica, dei video, della comunicazione per immagini. Leggono pochissimo, scrivono anche meno, sono assuefatti ad una comunicazione ipersintetica e velocissima.

Sui videogames e sulla televisione si modella anche la loro attenzione: sono tanto veloci quanto discontinui; la loro capacità attentiva si misura più in secondi che in minuti; hanno riflessi da pilota da caccia ma non sono abituati a soffermarsi a riflettere né a decodificare periodi o frasi complicati.

Tutte le più grandi compagnie televisive, compresa la storica inglese BBC, operano nel senso di una continua semplificazione e popolarizzazione del linguaggio impiegato nei propri programmi. Questo perché, diversamente, i programmi stessi diverrebbero inaccessibili alla stragrande maggioranza dei telespettatori, con particolare riguardo per i giovani. Inoltre, l’uso di un linguaggio particolarmente ricercato genera quella opposizione adolescenziale che si manifesta contro tutte le modalità marcatamente “adulte”.

Qualcuno con cui confrontarsi e discutere – qualcuno specificamente preparato per questo – può talvolta fare veramente comodo.
Se poi i disagi sono troppi e durano troppo a lungo diventando veri e propri disturbi della sfera psichica, si renderà probabilmente necessario il ricorso allo psicoterapeuta. E quest’altro – mi direte – chi è? È uno specialista – psicologo o medico – che si occupa appunto dei disturbi psichici.

Attacchi di panico, disturbo ossessivo compulsivo, ansia e depressione, burn-out lavorativo, ipocondria e fobie diverse, disfunzioni sessuali non organiche, bulimia ed anoressia, per fare degli esempi, necessitano dell’intervento del terapeuta.

 

Redazione L’Elefante Invisibile

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