Le indagini sono ancora in corso e non abbiamo adeguate certezze sui fatti, per cui evitiamo accuratamente di pronunciare giudizi superficiali che sarebbero basati più sulle nostre convinzioni che non sulla triste realtà di questa vicenda. Un pericoloso fenomeno emerge però, con assoluta evidenza, dall’analisi del contesto in cui un diciannovenne è arrivato a togliersi la vita per motivi che ci appaiono francamente piuttosto modesti o addirittura banali. L’avvocato della famiglia ci dice che Andrea era caduto vittima di un giro di truffe online in cui sarebbe stato reclutato come “manovalanza”. Sappiamo poi che era in crisi con l’università e che probabilmente nascondeva i suoi insuccessi ai familiari. Situazioni sicuramente difficili e angosciose, ma senz’altro risolvibili. Non sono i fatti in sé a suscitare stupore e sconcerto; è il contesto in cui tutto il dramma si genera, si svolge e si conclude, che ci lascia attoniti e sconvolti. Tutto avviene all’interno di internet, rimbalzando tra uno schermo e l’altro; una tragedia costruita, giorno dopo giorno, con le dita sulla tastiera. Lo sciagurato protagonista e tutti gli altri attori non si sono mai incontrati né mai hanno avuto altra relazione se non quella mediata dallo schermo del pc. Via internet si prova a truffare la gente per far soldi, via internet si incontrano gli “amici” – perfetti sconosciuti – con cui ci confideremo e che poi ci aiuteranno a suicidarci; sempre via internet si riuscirà infine a trovare le istruzioni giuste per togliersi la vita e si potranno comprare i farmaci letali. Chiuso in questo mondo virtuale Andrea; sempre chiuso e coinvolto, allo stesso modo, il suo coetaneo che non cerca affatto di aiutarlo a vivere, ma, al contrario, di aiutarlo a morire. Questo è sicuramente il principale oggetto di riflessione: quale complicità si crea, nelle oscure gallerie di internet, tra un ragazzo disperato ed un volenteroso coetaneo che si prodiga in suggerimenti pienamente efficaci per levarsi dal mondo? La vittima si è già smarrita nel mondo virtuale, perdendo il contatto con la realtà e con le persone reali a cui è legato da affetti, persone a lui vicine che non gli negherebbero tutto il loro possibile aiuto. Ma è altrettanto fuori e lontano dal reale il coetaneo che si coinvolge totalmente nel pensiero autodistruttivo di Andrea, al punto da non vedere altra possibile solidarietà se non quella di fornirgli gli strumenti per sopprimersi. Non cerca di dissuaderlo, non pensa affatto all’esistenza di quel mondo di relazioni reali che potrebbero intervenire ad aiutare davvero il coetaneo; non gli dice di confidarsi con la sorella o con i genitori o con amici, persone reali. Come nel film Matrix, tutto avviene in un mondo che sembra reale solo a chi ci vive dentro ed è invece solo un tortuoso inganno virtuale che occupa completamente le coscienze impedendo ai soggetti coinvolti di accorgersi della realtà vera. Anche il finale del dramma si realizza all’interno dell’ambiente virtuale dove comparirà l’ultimo attore, il venditore telematico di veleni. Persino l’idea della morte appare rappresentata in modo virtuale nella mente di questi giovani che ne discutono tra loro, immaginandola e costruendola, passo dopo passo, all’interno di un dialogo quasi delirante che va da come realizzare un bel cappio con una corda – soluzione poi scartata –  a come trovare i siti giusti per acquisire le nozioni farmacologiche necessarie per garantirsi un risultato mortale ed infine a come comprare – sempre sul web, naturalmente – le sostanze letali. 

L’unico oggetto reale è stato, appunto, il veleno e reale è stato l’esito fatale dell’assunzione del medesimo. Questa è stata una morte vera, definitiva, non come nei videogiochi dove, persa una vita, si inizia una nuova partita e si continua a giocare.

Una storia che avremmo potuto leggere come un racconto drammatico ben costruito, scritto per denunciare i pericoli del web ed evidenziare la fragilità della mente quando sia completamente persa in quella dimensione virtuale che, come tale, risulterà falsa ed ingannevole. 

Invece ci troviamo a leggerla come notizia di cronaca, increduli e sbalorditi davanti ad una vicenda allucinante e soprattutto davanti alla constatazione che si possa morire a diciannove anni di una morte così tristemente inutile ed assurda. Una vicenda che ci ferisce profondamente e ci evidenzia quanto ancora sia lunga la strada perché la mente umana sia in grado di padroneggiare le nuove dimensioni offerte dalla tecnologia.

Molto addolorati come persone, come addetti ai lavori, come operatori sanitari che si occupano della salute mentale, sentiamo forte la responsabilità di adoperarci al massimo delle nostre possibilità per dar vita ad una vasta azione preventiva che, prendendo spunto da questa tragedia, sia rivolta ai giovanissimi per insegnare loro una frequentazione corretta e sicura di quel rischioso oceano virtuale in cui fatalmente si trovano a navigare. Questo si potrà fare, ovviamente, solo entrando per tempo nelle famiglie e nelle scuole. Col progetto “Comunità genitoriali”, incontrando i genitori nelle aule scolastiche, informandoli dei pericoli cui sono esposti i ragazzi e discutendo con loro delle regole da stabilire rispetto all’uso dei cellulari – e quindi alla frequentazione dei social network e delle relative chat – possiamo dire che questa azione sia iniziata; ma si dovranno sperimentare sempre nuovi metodi e nuove strade per insegnare ai giovanissimi a proteggersi dai pericoli del web che, nel frattempo, continuano a crescere.

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