di Paolo Fuligni

La Legge n° 177 del 25 novembre dello scorso anno ha sicuramente generato reazioni nel mondo dei motori, sia tra gli addetti ai lavori che tra i comuni utenti, ma forse non tante quante se ne poteva immaginare. Il grande pubblico è rimasto sicuramente impressionato dall’entità delle sanzioni e dall’ampia gamma di situazioni in cui le stesse potevano essere comminate; certamente l’irrigidimento delle regole e l’elevato rischio di violarle anche con comportamenti banali, ha messo una notevole paura agli utenti della strada. 

Se questo era l’intento del legislatore, cioè un effetto di forte deterrenza, sicuramente – almeno nella fase iniziale – l’obiettivo è stato raggiunto. La misura dell’efficacia delle nuove norme, però, può essere valutata soltanto sulla effettiva capacità delle stesse di ridurre il fenomeno gravissimo dell’incidentalità sulle strade; pertanto, saranno il tempo ed i numeri a stabilire se la nuova legge coglie il suo scopo oppure se lascia invariato il quadro delle relative drammatiche statistiche.

Secondo il Ministro nei primi 15 giorni dall’entrata in vigore della nuova normativa i decessi dovuti agli incidenti sarebbero calati del 25%, dai 67 del 2023 ai 50 dello stesso periodo del 2024. Quindi, sempre secondo il Ministro, “le polemiche montate ad arte non sono servite: abbiamo salvato vite e questo è il compito di un ministro”.

Ma, prescindendo dal fatto che 15 giorni sono veramente troppo pochi per avere un qualsivoglia valore statistico, tale dichiarazione risulta purtroppo infondata perché i dati riportati dal Ministro si riferivano solamente agli eventi mortali rilevati dalla Polizia Stradale e dai Carabinieri, ovvero soltanto il 34% degli incidenti con lesioni registrati nel nostro paese, in quanto il restante 66% viene rilevato dalle Polizie Locali. Osservando i dati pubblici completi, risulta che nei 15 giorni successivi all’entrata in vigore delle modifiche al Codice della strada sono morte sulle strade italiane 111 persone, più del doppio delle 50 riferite dal Ministro, un valore del tutto sovrapponibile a quello analogo del precedente anno (fonte ASAPS).

Quanto sopra conferma l’impressione che le nuove norme abbiano un’impronta di carattere prevalentemente propagandistico; è infatti ben noto che l’irrigidimento delle regole e l’inasprimento delle pene – senza un effettivo e sistematico aumento dei controlli – raramente riescono a mutare significativamente i costumi sbagliati e a produrre gli effetti desiderati.

Di solito, infatti, sono i conducenti già rispettosi delle regole che sono particolarmente sensibili al rischio di trasgredirle e che temono di subirne le conseguenze. I trasgressori abituali, coloro che guidano con modalità improntate a imprudenza e a ignoranza o disprezzo delle norme, è assai improbabile che ne vengano influenzati.

Per ottenere un reale e consistente progresso nel contrasto alle quotidiane stragi che si verificano sulle nostre strade, occorrerebbe innanzitutto rileggere con attenzione alcuni dati già tristemente noti perché si replicano anno dopo anno con terribile regolarità. Primo fra tutti quello più inaccettabile: gli incidenti sono la prima causa di morte in Italia nella fascia di età compresa tra 0 e 19 anni e tutto questo si ripete puntualmente anno dopo anno. Proviamo a riflettere su quanto si spende nel nostro paese per la prevenzione delle prime cause di morte tra gli adulti, le malattie cardiovascolari e i tumori; parliamo di diversi miliardi di euro. Questo investimento contribuisce a salvare sempre più vite umane. Ci si domanda allora quali risorse vengono messe a disposizione per salvare la vita ai nostri bambini e adolescenti in un paese che è sempre più vecchio e ci si domanda anche chi mai se ne debba fare carico. La prevenzione, quella vera e quindi ovviamente fondata sull’evidenza dei dati disponibili, non appare in alcun modo contemplata. La prima questione che balza agli occhi è che le attuali modalità di insegnamento/formazione per il conseguimento della patente AM presentano un’efficacia minima rispetto alla capacità di educare gli adolescenti alla sicurezza stradale. A partire dai 14 anni con la patente AM si possono guidare ciclomotori a due e tre ruote (L1e, L2e) con cilindrata massima non superiore a 50 cc., potenza massima di 4 kW e velocità massima di 45 km/h; il patentino AM consente anche di guidare quadricicli leggeri che non superano i 45 km/h. Ma i relativi corsi – ed il conseguente esame – riguardano soltanto la conoscenza “scolastica” delle norme sulla circolazione e la capacità elementare di condurre un veicolo a motore. Ma è sui comportamenti alla guida, sulla consapevolezza dei rischi e quindi su una reale efficace formazione alla sicurezza che si dovrebbero predisporre interventi assai più articolati e complessi, monitorando costantemente gli effetti.

Altra questione prioritaria, ma vistosamente trascurata, è quella che concerne la vita dei soggetti più fragili, ovvero i pedoni. L’osservatorio ASAPS riferisce che, nel 2024, sono stati 475 i decessi dell’utente più debole sulla strada – con 35 morti in più rispetto al 2023 – di cui ben 63 decessi a dicembre, triste nuovo record del settore. Sempre ASAPS riporta i dati relativi ai luoghi degli investimenti di pedone, come quelli su marciapiede (29 decessi in 782 incidenti), mentre camminava regolarmente sul margine della carreggiata (25 decessi in 825 incidenti), mentre lavorava sulla carreggiata protetto da apposita struttura; e soprattutto 175 decessi, 156 in ambito urbano e 19 in ambito extraurbano, investiti sulle strisce pedonali. L’inosservanza delle suddette strisce pedonali è particolarmente evidente nel nostro paese – come facilmente si può notare anche in confronto con quanto avviene in altri paesi europei e non – ma tale violazione non viene rilevata e/o sanzionata praticamente mai. Al di là della deprecabile indisciplina dei conducenti al riguardo, si dovrà anche ammettere che gli attraversamenti pedonali sono spesso poco visibili, per carenza di efficace segnaletica verticale e cattivo stato di quella orizzontale, e non protetti. Non c’è uniformità di segnalazione né spesso illuminazione idonea. La presenza di adeguati dissuasori – anch’essi efficacemente segnalati anche, eventualmente, con apposite luci lampeggianti – è del tutto insufficiente. Per il 2025 l’Osservatorio Pedoni Asaps – Sapidata riferisce che ben 71 pedoni sono morti dall’ inizio dell’anno. Di questi, 49 uomini e 22 donne, di cui oltre la metà del totale – 37 – avevano più di 65 anni. In questo caso sono evidentemente gli anziani ad essere i più colpiti. Dati questi derivanti da monitoraggio settimanale che riportano 43 decessi nel mese di gennaio, a confronto dei 31 dello stesso mese del 2024. Ventotto morti registrati nel mese di febbraio (fonte Adnkronos, 24 febbraio 2025).

Veniamo quindi alla parte della legge che ha generato maggior clamore: quella relativa alla presenza di sostanze psicoattive nei fluidi organici. Con il nuovo codice viene introdotta una modifica molto importante che porterà probabilmente assai più problemi di quanti il legislatore intendesse risolvere. Non è più solo previsto che venga sanzionato il conducente che guida in stato di alterazione psicofisica o che provochi incidenti, ma colui che risulti positivo a un test qualitativo – non quantitativo – anche se non presenta alterazione alcuna. I test qualitativi, infatti, rilevano solo la presenza della sostanza non un eventuale reale effetto della medesima sulla condotta di guida. Ma si sa bene che, a seconda del tipo di sostanza, questa presenza si rileva anche diversi giorni dopo l’assunzione, come nel caso del THC, il principio attivo della cannabis. Il fatto che la sostanza sia ancora rilevabile però non significa che la persona sia ancora sotto il suo effetto: il giorno dopo aver assunto dei cannabinoidi non si percepisce più nessun effetto, esattamente come con l’alcol. Gli unici parametri obiettivabili in materia sono soltanto l’osservazione di comportamenti palesemente alterati o l’indagine clinica basata sulla significatività della concentrazione ematica misurata in nanogrammi/millilitro. Questo criterio, applicato ad una molteplicità di sostanze – anche a farmaci di uso comune – certamente darà vita ad un ridondante numero di contestazioni e relative vicende giudiziarie e renderà la norma sempre meno credibile, diminuendone la deterrenza.

Indubbiamente un adeguamento del Codice della strada deve avere come prima finalità quella di ridurre significativamente gli incidenti. Qui, più che evitare gli incidenti, l’effetto della norma sembra sia quello di sanzionare l’uso di sostanze, non la guida in stato di alterazione; ma sanzionare l’uso di droghe non è compito del Ministero dei Trasporti, oltre a non essere neanche la via più efficace per il sacrosanto contrasto all’uso di sostanze psicoattive. Sembra quindi che non sia neanche tale contrasto ciò che qui si cerca di ottenere, quanto piuttosto, appunto, la mera applicazione della sanzione.  

Purtroppo, ancora una volta, si fraintende l’incremento delle norme e l’inasprimento delle sanzioni con la reale capacità di ridurre gli incidenti stradali; la prevenzione continua a chiamarsi Cenerentola.  

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